Sognare: far sì che insorgano delle nuove immagini, provenienti da desideri, in uno stato di potenza ma che non siamo riusciti a realizzare.
Grazie al sogno vi è l’appagamento di questi, dettato da un principio di piacere fisico che qui si realizza come Onnipotente.
Riccardo Panattoni nella sua lectio "Superfici. Il virtuale tra schermi e immaginazioni", in collaborazione con Ordine Psicologi delle Marche, ha insistito sulla completa divergenza tra “onnipotenza” del sogno e “impotenza” della realtà. In un momento di così grande fragilità è necessaria un’etica in grado di contrapporsi alla incapacità di mutare la condizione del singolo.
Dare spazio ai sogni, per noi che siamo individui considerabili “in potenza”, in un periodo buio e spossante, non sempre è risultato facile: quello che nell’immaginario collettivo è stato motivo di chiusura in se stessi, per noi è occasione e possibilità di guardare verso nuovi orizzonti con occhi diversi, con uno sguardo più profondo e attento.
Freud racconta di un sogno traumatico: un padre incontra nella notte suo figlio morto, tra le fiamme. L’impulso animale che ci contraddistingue in situazioni reali avrebbe portato l’uomo a sconfiggere l’incendio, cercando di sopravvivere; sopraffatto dal dolore, in una realtà quasi mistica e priva di concretezza, ciò che il padre sceglie di fare è tentare un dialogo con il figlio, ormai lontano.
Ricordare qualcuno che abbiamo perso fa parte, in tutti i sensi, della condizione umana. Possiamo definirlo “sogno pubblico” e pubblica possiamo definire anche l’esperienza della pandemia. Siamo stati attorniati da notizie, informazioni e immagini traumatiche che hanno generato una paura tale da poterci bloccare: nella relazione con l’altro, con noi stessi e con tutto ciò che ci è intorno.
“Dobbiamo lottare per conquistare la nostra posizione”, ricorda Panattoni, e di certo farlo attraverso il giusto linguaggio che risulta chiaramente l’insegnamento ricevuto in modo concreto da uno sconvolgimento di così grande portata.