Sporcarsi le mani: significa davvero fare arte?

Edoardo Tresoldi e Marta Cuscunà, con il loro bagaglio artistico, hanno portato una testimonianza importante: tutto ciò che prevede una manifestazione del proprio essere necessita una “lotta”.

Che cosa blocca l’arte? La presenza di Paolo Marasca ha consentito di comprendere cosa, effettivamente, accade alle prese con la grande macchina comunale. Viene ammesso il puro bisogno che le istituzioni siano “complici del processo artistico”, come dice l’assessore, che evidenzia anche la complessità del lavoro artistico durante e dopo il periodo del Covid.

Fare arte significa spogliarsi di barriere e confini e mostrare fragilità, pensieri, emozioni. È evidente: il momento storico che abbiamo appena oltrepassato (nel quale forse siamo ancora completamente dentro) ha fatto risalire in superficie molte delle nostre debolezze. La tenerezza è divenuta, da oggetto nascosto, quotidianità.

Fare arte in questo momento storico significa, quindi, confrontarsi ad uno ad uno con le fragilità proprie e degli altri; significa accogliere ogni cambiamento, piccolo passo avanti; significa credere e investire in una “medicina non convenzionale”.

L’arte ha un ruolo educativo importantissimo nel percorso di formazione di ogni uomo: fin da quando si è piccoli, è importante confrontarsi con questa dimensione e ampliare il proprio punto di vista, considerando occhi diversi (concetto sul quale si basa il teatro).

Le testimonianze di Tresoldi e Marta Cuscunà sono la prova che cambiare prospettiva può essere una cura nei momenti di destabilizzazione, di crollo: ricostruire, ri-partire da ciò che si ha dentro, leggendo ogni minima sensazione e rendendola voce, costruzione, movimento.

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